giovedì 29 ottobre 2009

Urbanistica: istruzioni per l’uso

Alla rete cittadina auto regolamentata


Osservatorio Trasformazioni Urbane


Urbanistica: istruzioni per l’uso
SCHEDA

Vi è una difficoltà oggettiva, al di là dei limiti soggettivi, nell’esporre in modo semplice e comprensibile l’urbanistica e l’oggetto dei suoi studi e delle sue applicazioni. Della città non ci si limita ad analizzare caratterizzazioni dei suoli, vocazione territoriale, evoluzione storica dell’abitato o anche le strutture fisiche esistenti, distinte per funzioni, o la morfologia dei quartieri e degli isolati, il tracciato di strade e piazze, il verde, le attrezzature, i servizi etc.; comprendere i sistemi complessi come i luoghi dell’abitare umano significa affrontare la vita associata delle persone, con le loro abitudini consolidate, le relazioni, le attività, i movimenti, ovvero studiare la storia della società che si è insediata nelle città e nei borghi. Ogni trasformazione incide sulla vita degli abitanti modificando le relazioni sociali. La struttura del potere politico-economico fin dagli albori della storia della città ha sempre avocato il diritto di modellare il luogo dell’abitare consegnando la memoria di sé a importanti trasformazioni urbane, oltre che a importanti monumenti architettonici, palazzi e chiese destinati a celebrare dinastie, casati etc. Oggi tali poteri sottomettono le scelte urbanistiche ai loro affari e ai loro mercati e non si accontentano più di insediarsi nel baricentro della città, ma invadono con la speculazione immobiliare tutto il territorio. In mezzo tra il tempo dei granduchi e re ed il tempo della monetizzazione dell’esistente, nel nostro paese c’è stato un breve periodo storico, tra il 1948 ed il 1978, in cui si sono poste le basi anche giuridiche di una urbanistica intesa come disegno e governo pubblico dell’organismo cittadino, secondo il prevalente interesse pubblico. Tempo concluso dalla nuova urbanistica contrattata che ha disintegrato insieme alla rigidità dei vincoli, la nozione stessa di interesse pubblico. Da qui ci muoviamo come osservatorio perché pensiamo che solo una partecipazione cosciente della cittadinanza attiva può consentire il tornare ad una pianificazione ambientale e sociale della città. Per questo poniamo all’attenzione di tutti alcune questioni basilari dell’urbanistica.

Ciclo breve o traffico zero

Una nozione che ci viene mutuata dagli ambientalisti come quella del ciclo breve delle merci (che consente una migliore tracciabilità della filiera produttiva, una riduzione del traffico o dunque di tempo e denaro) può essere applicata all’urbanistica attraverso una generalizzazione del problema; esiste negli spostamenti delle persone in città, per necessità o per svago, una dissipazione di energia psicofisica, combustibile, tempo e denaro insostenibile. Si possono ovviamente studiare modi alternativi degli spostamenti, ma occorre soprattutto lavorare sulla struttura dello spazio, riducendo le distanze, ovvero i percorsi, studiando cicli brevi tra le abitazioni e i servizi essenziali, che devono essere ricondotti alla dimensione del vicinato di quartiere, dove è ragionevole (asili, scuole di base, palestre, uffici postali, servizi sociosanitari di base etc.) e collocare le strutture di servizio a dimensione cittadina lungo percorsi ben serviti con mezzi pubblici e facilmente raggiungibili da ogni parte della città. La raccolta dei rifiuti “porta a porta” differenziata è stata sufficientemente divulgata e compresa nella sua utilità, altrettanto utile, ma per ora per niente praticato, sarebbe il trasporto delle persone verso luoghi di lavoro e di studio mediante un sistema di mezzi collettivi, in dotazione alle aziende e alle scuole, che raccolgono studenti e lavoratori nei loro quartieri per trasportarli nei luoghi di destinazione. Cicli brevi non solo delle merci, ma anche delle persone possono ridurre sensibilmente lì eccessivo traffico privato cittadino.

Crescita zero, ovvero minor consumo di territorio

Rinunciare a estendere la città significa ottenere notevoli risparmi di denaro pubblico in termini di riduzione dei costi di reti elettriche, idriche, di servizi di spazzamento etc Riduzione di percorsi significa ancora una volta risparmio energetico. Anche per quel che riguarda il ciclo dei rifiuti si può ottenere un notevole risparmio se pensiamo al territorio come bene esauribile e dunque selezioniamo insediamenti nuovi. L’impianto di nuove aziende di grande produzione, di grande commercializzazione, di grande consumo dovrebbe essere condizionato non solo dalla possibilità di un buon servizio di trasporto collettivo, assicurato dall’azienda interessata, ma dovrebbe essere verificato anche il ciclo dei rifiuti e lo smaltimento degli imballaggi che non devono gravare sulla collettività. Oggi le città, e Livorno non fa eccezione, hanno all’interno delle zone costruite anche aree ex industriali, ferroviarie, militari etc. che hanno perso la loro funzione originaria e che, se ben utilizzate per pubblico interesse, potrebbero consentire di ridisegnare città a crescita zero e a basso consumo, con una migliore distribuzione dei servizi.

Risocializzazione della città

La città si è desertificata: la rete fittissima di relazioni storicamente stratificate è strappata in più punti e la ricchezza della vita relazionale urbana si è notevolmente ridotta. In questo contesto la paura dell’altro ha sostituito più facilmente il rapporto e il confronto con l’altro. I pochi interventi di rivitalizzazione del sistema commerciale storico con interventi di pedonalizzazione e di animazione di strada cercano di resistere alla marginalizzazione dell’originario centro commerciale distrutto dalla concorrenza degli ipermercati nati ai bordi della città. Ma appena le luci si spengono appare impietosa la verità di centralità destituite del loro ruolo economico e sociale. Anche i parchi cittadini, fatta eccezione per qualche villa urbana, pochi, sconnessi, e mal curati di giorno sono poco frequentati e di notte sono punti di ritrovo marginale dei marginali. Certamente non funzionano quasi più come centri di incontro e socializzazione. Oltre alla pedonalizzazione di strade e di piazze invase dal traffico per restituirle ad un nuovo ruolo di ri-socializzazione, bisogna costruire centri sociali pubblici, centri civici di risocializzazione.

La qualità urbana: passeggiate cittadine
Il concetto di sito di qualità paesaggistica da proteggere e salvaguardare si applica benissimo alla città e non solo alle zone naturalistiche. Passeggiare in un centro storico ben restaurato e dunque vitale è gratificante; percorrere un viale alberato o camminare nel verde cittadino attrezzato, se c’è, è una esperienza piacevole. Passeggiare in piccole vie pedonali, ombreggiate dagli alberi e dalle siepi dei giardini che si intuiscono oltre i muri è emozionante come camminare dentro una architettura di qualità, che non si sostituisce facilmente con qualche lampione e qualche panchina. Proteggere e valorizzare il sistema dei borghi storici, costruire secondo criteri di qualità, trasformare la città mantenendo leggibile il disegno storico urbanistico è importante quanto salvaguardare colline e coste. Aumentare il sistema dei parchi e del verde diffuso è essenziale non solo per la salute, ma anche per il benessere generale dei cittadini.


Livorno 23 marzo 2oo9

Urbanistica e questione etica.

E’ ormai senso comune da parte degli urbanisti e ambientalisti, che la città diffusa di tipo occidentale, le metropoli nord americane e le megalopoli del sud del mondo siano diventate un vero disastro sociale ed ecologico.
Il modello di città italiane benché stemperato dalla stratificazione storica ancora ben visibile nei centri città, è ormai dettato dalla speculazione edilizia più che dalla pianificazione pubblica.
Lungo le maglie di una rete che collega i nodi del potere economico e finanziario, si estende una città territorio senza qualità. Una città esplosa, composta di frammenti d’architettura e di disegno urbanistico, sommersi da una marea urbana.
Domina la scelta di semplificazione che riduce la complessità, la ricchezza di significato e senso, a modello unico standardizzato, incapace, quindi, di accogliere le differenze, di consentire dialogo e relazione tra loro.
Nelle sue forme istituzionali l’urbanistica non sembra in grado di capire e tanto meno di affrontare la grandezza del disastro, e le amministrazioni comunali non governano più le trasformazioni, avendo legittimato culturalmente la mercificazione globale dello spazio urbano. Non vogliamo negare le grandi difficoltà in cui le amministrazioni si sono trovate in questi anni in termini di risorse e strumenti, pensiamo tuttavia che le difficoltà non possano giustificare la rinuncia al ruolo di governo del territorio e richiedano invece uno sforzo, un impegno di rigore e di creatività per affermare il valore prioritario della salvaguardia dell’interesse collettivo, che implica, a nostro avviso, giustizia sociale e democrazia reale.
Il modo in cui concretamente vive e si trasforma una città, ha molto a che fare con la vita quotidiana di chi la abita, con le sue difficoltà e le sue speranze e l’urbanistica non può essere affare di pochi, è questione di tutti: i recenti conflitti praticati da cittadini che difendono il loro territorio da operazioni inutili e dannose pongono esigenze e istanze che meritano di essere ascoltate, non solo nel loro contenuto, ma anche perché restituiscono qualche speranza di un ritorno ad un’urbanistica condivisa.
Periferie dentro, titolo del programma di sensibilizzazione dell’Osservatorio delle trasformazioni urbane per il 2008, ha cercato di porre l’accento sul declino della città, sempre più indifferenziata, banale e priva di qualità. Gli esiti disastrosi dell’urbanistica contrattata pongono anche la questione etica della responsabilità, e non intendiamo parlare di comportamenti corretti da un punto di vista legale, quanto della capacità di assumere scelte dettate non dalla pura necessità contingente, ma dalla preoccupazione e dalla cura delle conseguenze sull’oggi e sulle generazioni future.
A Livorno purtroppo prosegue la cementificazione senza qualità, senza che si riesca a creare un fronte d’opposizione efficace per cambiare la città.
Dopo l’impatto terribile del Ponte di Santa Trinità, ci viene prospettata la trasformazione in albergo del silos che incombe sulla Fortezza Vecchia benché appaia evidente la necessità di una sostituzione con un’architettura più rispettosa del capolavoro mediceo.
Abbiano già detto che si sono perse troppe occasioni per rimediare allo scempio delle Terme del Corallo, ultima quella della Porta a Terra, la cui pianificazione poteva includere il recupero di quest’importante area storica. Si è proceduto nella demolizione del cinema Odeon, (e troppo tardi si sono levate le voci degli Sgarbi di turno) nonostante l’opposizione di settori sociali giovanili, impegnati contro la desertificazione del centro.
Di più, s’insiste ancora ad alienare altri spazi pubblici ed a costruire su piazze e pratini come in Viale Caprera e Piazza del Luogo Pio. La proposta di spostare l’ospedale di Livorno, dopo il decentramento in zone inospitali e mal servite del catasto urbano e degli uffici finanziari, non ha altro logica che quella della speculazione edilizia. Il cattivo funzionamento dell’ospedale ha poco a che fare con la struttura e molto invece con la cattiva sanità.
Del resto l’area è talmente vasta da consentire qualsiasi modifica funzionale, e sulla sua riqualificazione sono già stati spesi milioni d’euro.
L’operazione Porta a Mare si sta concludendo sotto gli occhi dei livornesi in piena evidenza con la costruzione dei nuovi edifici nell’area dell’ex cantiere, ormai quasi ultimati. E’ evidente come tutto ciò abbia molto a che fare con la monetizzazione di un’area ex industriale ad esclusivo vantaggio d’imprenditori del mattone, senza alcuna contropartita pubblica, e pochissimo con la trasformazione del bellissimo porto mediceo in porto turistico (che poteva essere per la sua grande capacità ricettiva e posizione uno dei più importanti a livello del mediterraneo).
Niente porto dunque, al massimo un parcheggio di barche, come dimostrano le recenti proposte di rilancio del porticciolo privato il Marina, che viene riproposto con qualche modifica marginale, a distanza di vent’anni.
Tragicamente il vecchio piano si chiude con le delibere di cementificazione del progettato ex parco del Nuovo Centro, ennesima vergognosa speculazione edilizia, avendo ormai consumato tutte le aree edificabili, al di fuori d’ogni pubblica utilità.
Bisogna rifondare l’urbanistica chiudendo ogni ulteriore ipotesi di cessione di spazi pubblici e collettivi, iniziando un opera di lungimirante acquisizione d’aree, che si sono rese disponibili, dall’ex caserme alle stazioni ferroviarie dismesse, progettare una città ecologicamente e socialmente sostenibile.
Avere affidato al mercato la creazione delle nuove piazze ipermercato, luoghi chiusi, claustrofobi e alienanti, in sostituzione degli storici spazi di socializzazione, le strade e le piazze invase dal traffico, invece di proporre centri civici e sociali per ritrovare il senso della collettività, rappresenta la deriva più evidente del progetto urbano e le tristi sorti dell’urbanistica moderna.
Il sindaco di Livorno ha parlato della esigenza di un nuovo Piano Regolatore della città: ma per regolare quale genere di città? È possibile aprire un confronto, un reale coinvolgimento su quale futuro pensiamo per il nostro territorio e per il nostro tessuto sociale? E per disegnare il futuro, non sarebbe opportuno ripensare, con spregiudicatezza e senza remore, a che cosa hanno prodotto e quali effetti hanno determinato i piani precedenti? Ricostruire esperienze di pianificazione partecipata insieme ad una rinnovata centralità delle istituzioni pubbliche nel governo del territorio è l’impegno e la concreta utopia dell’osservatorio, che invita tutta la cittadinanza, a cominciare della rete delle associazioni attive sul territorio a proseguire il confronto per contrastare la mercificazione della città.
Nonostante i pesantissimi danni culturali economici e sociali che l’ennesima crisi senza sbocco del capitalismo del XX secolo ha prodotto nel mondo con le sue guerre devastanti e le crociate neo-corservatrici, si intravedono elementi di cambiamento d’opinione (l’america d’Obama) e si estendono sacche di ribellione dentro la società e i territori (il movimento di studenti e insegnanti che stanno provando a riconquistare il futuro).
Mentre è anche troppo evidente la pesante crisi involutiva delle forze politiche che in qualche modo rappresentano ciò che resta della sinistra alternativa, anche l’effervescenza d’iniziative del movimento spesso copre un vuoto di proposta complessiva.
Pertanto ci sembra urgente aprire con la rete delle associazioni e dei comitati livornesi (a cominciare dal tavolo della partecipazione) la discussione intorno ai lineamenti di un progetto condiviso di città aperta e ospitale socialmente ed ecologicamente sostenibile.
Forse si potrebbe partire dall’urbanistica partecipata per approdare ad una politica partecipata, che riconsegni ad una nuova e non piccola minoranza di cittadini, stanchi di stupidità e di campagne d’odio e sicurezza, la voglia di tornare a costruirsi una rappresentanza anche istituzionale con un progetto d’umanità e di mondo alternativo, e una proposta concreta di governo del territorio da proporre alla città.


Livorno 16 dicembre 2008

Uso culturale e sociale per la Casa della Cultura di Livorno

OSSERVATORIO TRASFORMAZIONI URBANE LIVORNESE

Premessa necessaria per un progetto d’uso culturale e sociale per la Casa della Cultura di Livorno, è il riconoscimento che il valore irriducibile della cultura è la sua autonomia. Quando il mercato o la politica cercano di governarla o indirizzarla rigidamente, il risultato è spesso un intollerabile appiattimento di nessuna utilità sociale (meglio rischiare qualche eresia!). Senza pluralità senza conflitto, si approderebbe presto alla forma di censura e autocensura, che il potere chiama consenso. La mediazione dei conflitti d’idee dovrebbe pertanto riuscire a non spegnere o estirpare il dissenso che se ricondotto dentro comuni regole democratiche e dunque di rispetto reciproco, è vitale e irrinunciabile.

I PROBLEMI E LE DOMANDE CHE E’ OPPORTUNO PORSI RIGUARDO L’ORGANIZZAZIONE E L’ATTIVITA DELLA CASA DELLA CULTURA.
Quale sarà il soggetto gestore, uno o più soggetti o addirittura una rete di soggetti?
Come realizzare una partecipazione aperta all’interno di finalità ben definite?
Chi decide, chi è responsabile, e chi produce l’attività culturale, sono lo stesso soggetto o no?
Chi controlla che le attività siano conseguenti alla finalità predefinite?
Che ruolo ha il pubblico, che rapporto c’è con i gestori etc.?

LE COSE DA EVITARE
Non deve esistere alcuna imposizione politica, istituzionale o partitica, al contrario va garantito il pluralismo, e la libertà, salvo la messa al bando di ogni forma di razzismo integralismo, autoritarismo, pratiche violente.
Non è accettabile alcuna censura che limiti la libera espressione culturale – artistica, nessun controllo può essere burocratico e permanente. Il protagonismo giovanile non può essere motivo d’esclusione, di scambi con soggetti che esprimono livelli culturali interessati, indipendentemente dall’età.

LE COSE DA GARANTIRE
Chi lavora e gestisce all’interno delle comuni finalità, deve poter decidere le modalità di lavoro. Le verifiche del lavoro svolto dovrebbero servire ad analizzare la corrispondenza tra le proposte e le realizzazioni, tra gli obbiettivi stabiliti e la pratica adottata, e devono essere partecipate e aperte. Le finalità generali comuni saranno stabilite con la massima partecipazione. Potrebbero essere: promuovere, incoraggiare, produrre liberamente cultura, nelle molteplici espressioni visive audiovisive di comunicazione multimediale musicali etc. con uno sguardo attento e critico alla città, sviluppare la capacità di leggere (e demistificare) il complesso mondo delle comunicazioni tramite tv giornali blog ed altri media. Le priorità di attività e intervento dovrebbero essere stabilite secondo finalità sociali definite con la massima partecipazione. Partendo dal presupposto che la qualità artistica è difficilmente misurabile, la selezione dovrebbe privilegiare programmi di lavoro in grado di interagire e di inserirsi in circuiti più ampi nazionali e internazionali.
Tali finalità o comunque le finalità comuni stabilite nel corso del confronto devono concretizzarsi in uno statuto che fissi i lineamenti generali delle modalità d’adesione di funzionamento e di gestione anche economica. Lo statuto dovrebbe essere sottoscritto dai soggetti che si propongono come gestori della Casa della Cultura.
Chi gestisce dovrebbe formulare le proposte attraverso un processo capace di coinvolgere almeno la rete di soggetti attivi sul territorio elaborando con la massima partecipazione un progetto a medio termine, coerente con le finalità scelte, e capace di connettere le pluralità delle espressioni artistiche.
Il processo decisionale sull’uso della Casa della Cultura dovrebbe essere un’occasione per favorire lo scambio e il confronto con tutta la rete d’attività di produzione artistica e culturale, già esistenti nel territorio, per valorizzare e far crescere le esperienze oggi quantomeno sconnesse e/o in dannosa competizione.

USO DEGLI SPAZI
Gli spazi della casa della cultura suggeriscono alcune attività e né limitano altre: al piano superiore potrebbero trovare spazio un centro d’informazione e formazione, produzione audiovisiva e ricerca multiculturale, e organizzazione di teleconferenze.
Potrebbero essere allestiti dei laboratori creativi e formativi di arte multimediale. Si può ipotizzare anche una funzione museale -espositiva, per video installazioni e altre forme d’arte legate all'audiovisivo in genere. E’ auspicabile la formazione di giovani operatori culturali, artisti, videomaker, musicisti, poeti, scrittori, per dare un'opportunità e una possibilità, a chi cerca di esplorare e interrogare in modo creativo la realtà circostante, spazio urbano compreso.
La parte inferiore tradizionalmente luogo di conferenza e incontri culturali, politici e artistici di formazione informazione, potrebbe continuare ad essere utilizzata in tal senso.
Il progetto della rete di gestione può sviluppare i propri programmi estendendo l’attività in altri spazi ed altri luoghi, per incontrare o mettersi in rete con soggetti attivi del territorio; ad esempio: Fortezza Nuova per concerti musicali all’aperto (mostre e convegni, riprendendo l’interessante stagione dei concerti di primavera), Villa Morazzana convegnistica internazionale, Fortezza Vecchia sede di concerti ed altri eventi culturali, incontri, teatro, cinema e ricerca sul cinema dal Kino Desse all’Agi-Plas, e ancora Teatro delle Commedie, Centri Sociali e Circoli Arci, Refugio, Piazze, Strade spesso teatro d’eventi, non sempre esaltanti (effetto Venezia).
Mettere in rete e far dialogare le realtà territoriali esistenti, in un circuito più ampio nazionale ed internazionale, questa è la scommessa per valorizzare e rilanciare il circuito culturale livornese.

Livorno - Aprile 2008

L'area in questione è l'ex caserma Lamarmora

Due secondo l'assessore Picchi gli obiettivi dell'ennesima variante urbanistica: riportare la dogana d'acqua all'"antico splendore"e dare qualche decina di case agli sfrattati a canone ribassato del 25% rispetto al valore dimercato.
L'area in questione è l'ex caserma Lamarmora, attualmente di proprietà comunale insieme ai terreni adiacenti, destinata secondo il vigente RU a servizi.
Oggi ospita scuole, un centro homeless, una palestra e qualche famiglia. Nel lungo periodo dell'emergenza abitativa, dagli anni 80 ai nostri giorni, è capitata (ma potrebbe ricapitare) la necessità di utilizzare il vecchio edificio per sostenere la sistemazione provvisoria di nuclei familiari con problematiche di relazione sociale.
Intanto, nei 20 anni trascorsi, le zone centrali e centro nord si sono impoverite diservizi essenziali; lo strangolamento da traffico causato dall'incremento esponenziale di unità abitative è stato esasperato da una fisiologica riduzione dei posti macchina: dunque, il sistema sociale e abitativo rischia un effetto di default. Non solo per la mancanza di parcheggi (che pare l'emergenza strategica di questa Amministrazione); quanto per una contrazione significativa degli standard urbanistici; mancano infatti asili e scuole dell'obbligo pertinenziali, ludoteche, biblioteche, centrisociali, zone alberate e spazi per il gioco e relax pubblici.
I mq a servizi,5 mq a cittadino, ( che rappresentano complessivamente1/4 del necessario),si sono ulteriormente ridotti.: perfino il Paradisino, come sappiamo, è stato riciclato in palazzo residenziale con una operazione assolutamente chirurgica. Per questi motivi proprio non convince(quanto all'ex Caserma Lamarmora) la scelta di variante urbanistica che al posto di aree a servizi destina la zona a residenze, servizi alle imprese e garage privati. Operazione che comporta la vendita di quasi 2/3 della pubblica proprietà, in cambio di una limitata dotazione di appartamenti comunali a prezzi calmierati,f inanziati dalla Regione. Finanziamenti che, perconverso, potrebbero essere diversamente allocati nel Palazzo del Borro, concorrendo alla necessaria operazione di restauro e ristrutturazione di un bellissimo edificio comunale nel centro della Venezia.
Nell'area dell'ex Caserma, strategica per il centro-nord, occorrerebbe far convergere finanziamenti europei (che esistono) e,attraverso un ampio concorso di idee, destinarli alla realizzazione di servizi di quartiere giudicati dalla collettività prioritari ed essenziali; una esperienza insieme di "sprovincializzazione" e di urbanistica partecipata da parte dei livornesi.
Capitolo Dogana d'Acqua.
Anche su questo punto sembrerebbe piu'ragionevole uno studio globale del sistema fossi, porto, fortezze, fondaci, per un recupero anche funzionale delle vie d'acqua.
L'obiettivo annunciato dall'Assessore è meramente conservativo e non soddisfa (in linea con l'intera operazione) alcuna esigenza reale.
Quanto all'obiettivo "sociale" della variante,non èdavvero sostenibile. Peraltro, da un calcolo attendibile risulta comedei 10.000 mq complessivi in cui insiste la proprietà comunale, solo3000 sarebbero coperti dal finanziamento della Regione. I restanti 7000 sarebbero ceduti a privati con un saldo certamente negativo per la città e, in particolare, per le stesse aspettative della cosidetta "fascia grigia"che con questa operazione si vorrebbe ricollocare.
Daria Faggi
Sergio Nieri
Coordinamento Osservatorio Territoriale Trasformazioni Urbane.

Livorno,li 29.07.2006

Il Silos, la Fortezza e il nuovo ospedale.

Livorno 5 gennaio 2008

Il Silos, la Fortezza e il nuovo ospedale.

Sempre più arduo comprendere la logica che sottende l’insieme delle trasformazioni urbane della nostra città, al di fuori di quella del tutto evidente, di monetizzazione (questa è la valorizzazione ?) del territorio comunale.
Per la cronaca: è assai difficile convincersi che l’ex Silos granai della Calata Sgarallino, quel massiccio parallelepipedo che incombe con la sua mole opprimente sulla fortezza del Sangallo, sia opera da conservare e salvaguardare; tanto più in una città dove si è disinvoltamente demolito il Politeama, e più di recente l’Odeon, architettura di tutt’altro valore.
Né il criminale abbandono delle vecchie e bellissime Terme del Corallo, reso definitivo con la costruzione del cavalcaferrovia, ha suscitato le meritate proteste pubbliche; tardivamente con l’opera ormai in rovina la Sopraintendenza si è decisa ad esercitare il suo ruolo, dopo che né ai palazzinari di Porta a Terra, nè a Bottoni e compagni, era stata richiesta la sistemazione dell’area e il restauro delle Terme come contropartita per gli ingenti guadagni autorizzati dalla trasformazione della zona.
Alla luce di ciò, viene spontaneo chiedere all’Amministrazione Comunale se il mantenimento del Silos nello stato attuale è una scelta definitiva e ponderata. Anche perché non si preserva il nucleo originale degli anni 20, ma anche le parti successive assai recenti, di nessun valore né artistico né testimoniale.
Il fabbricato ormai vuotato da ogni funzione produttiva, può essere a nostro avviso, abbattuto senza nessuna nostalgia: la sagoma del nuovo albergo potrebbe essere meglio studiata nel rispetto della vicina Fortezza.
Un intervento nell’area del Forte del Sangallo, dovrebbe essere di grande qualità, progettando una nuova moderna emergenza architettonica, capace di dialogare con il vicinissimo monumento storico e la darsena. Soprattutto dovrebbe essere accompagnato da una contestuale risistemazione urbanistica dell’intera zona, oggi devastata da reti per pollai, piazzali asfaltati, resti di cantiere, che circondano le mura e gli antichi bastioni.
Se ciò non avverrà anche la Porta a Mare ancor più della porta a Terra, non produrrà alcun risultato positivo per la collettività, nemmeno come effetto collaterale.
Degli elementi negativi delle scelte urbanistiche recenti abbiamo già parlato e ne sono testimonianza l’agonia della zona centrale, dove spente le luci delle vetrine rimane solo il deserto.
Ma a conferma della confusione adottata, dall’urbanistica per caso, dove si inseguono scelte contraddittorie e slegate tra loro, è giunta la notizia dell’ipotesi di spostamento dell’ospedale, già oggetto di importanti interventi di ristrutturazione, verso Montenero.
Immaginiamo la sorpresa dei livornesi, lettori delle cronache locali, nell’apprendere sul finir dell’anno che dovremo rinunciare allo storico ospedale in corso di ampliamento, di facile accesso da tutti i quartieri per sostituirlo con un monoblocco lontano dalla città.
E’ incredibile che gli estensori della proposta affermino senza arrossire che la delocalizzazione serve a “ un nuovo processo di rivilitazzazione del centro e delle sue attività e servizi, nel pieno rispetto dell’ambiente per una migliore vivibilità”.
Ci pare di capire che dopo le addizioni residenziali di Porta a Mare e del nuovo Centro non previste dal Piano regolatore livornese, si vuole regalare alla speculazione edilizia anche le appetibili aree dell’ospedale, alla faccia di malati e loro parenti che verrebbero spostati sempre più lontano.
Gli attuali problemi della sanità sono ben altri, e poco hanno a che vedere con la struttura architettonica dell’attuale ospedale, che tra altro è facilmente adattabile a nuove esigenze, con interventi mirati all’adeguamento funzionale, come dimostra la recente costruzione della Piastra.
Occorre semmai riorganizzare e umanizzare la sanità, e per fare questo occorre più personale, più attenzione ai diritti del malato e dei loro familiari. Anche questo obbiettivo ha dei costi elevati, ma una volta tanto sarebbero soldi ben spesi.
Comunque trattandosi di una problematica complessa e di larghissimo interessa sociale, che va ad incidere ancora più di altre sulla qualità della vita dei cittadini, occorre avviare un confronto che coinvolga operatori e utenti e non solo gli amministratori.
Se il nuovo anno porterà una nuovo Piano regolatore ci auguriamo che nasca una discussione ampia, partecipata e che si torni a proporre un progetto unitario e globale, rinunciando ad un’urbanistica fatta da una serie di accordi occasionali con i privati al di fuori di ogni disegno complessivo.
Certo la legge di “riforma” delle autonomie locali del 1993 ha reso più difficile il ritorno ad un’urbanistica non colonizzata dal mondo affaristico, da poteri personali oligarchici che fanno e disfano le città, dentro e fuori dai piani, dentro e fuori le molte deroghe offerte dalle leggi e dalle regole: il decisionismo indiscutibile è diventato esso stesso il piano.
I consigli contano sempre meno e dentro di essi ridotte minoranze si torcono tra impotenza e frustrazione.
Allora, senza attendere eventi catastrofici che risveglino le coscienze, bisogna riuscire a riaffermare quell’idea della città come bene comune, come storia e identità sociale e il suo progetto deve diventare idea collettiva pubblicamente discussa e condivisa.
Noi lavoreremo per questo.

Paghiamo Fremura e teniamoci il Luna Park.

Non tutti i prati sono verdi. Su alcuni fioriscono cemento e milioni di euro.

Paghiamo Fremura e teniamoci il Luna Park.

Settecento appartamenti, supermercati, negozi, sono le proposte per il Nuovo Centro. Di questi 50.000 mq Slp vanno a Fremura con un guadagno stimabile intorno ai 150 milioni di euro, che diviso per i 108.000 mq di prati ceduti (ed espropriati negli anni ‘80) al comune, fanno una ricompensa di 1400 euro al mq ( 2.800.000 a mq delle vecchie lire).
Bisogna dire che l’erba dei Fremura è laminata d’oro. Buon per loro intendiamoci: i privati non sono la fatabenefratelli, ma il danno per la città e per i livornesi è notevole.
Addio bei sogni di un polmone verde alberato, di poli universitari e istituti ad alta tecnologia affacciati nel verde. Addio al centro civico e sociale multiculturale che l’Arch. Cagnardi descrisse poeticamente in consiglio comunale “dalle colline far discendere una fascia verde boschiva fino al mare per esaltare la qualità ambientale nel sud della città”, affascinando i consiglieri ignari sui quali pendeva la spada di Damocle del contenzioso Fremura, che Lamberti e la sua giunta tenevano ben chiuso nel cassetto. Difficile pensare che il gruppo Ds non ne fosse a conoscenza.
Ai pochi consiglieri scettici, quelli del “non ce la raccontate giusta”, che chiedevano all’Assessore al Bilancio la lista dei contenziosi pendenti per gli espropri tra il comune e i privati, non si rispondeva, se non in forma evasiva (trattative in corso).
Per tutto l’iter del piano strutturale e anche del regolamento urbanistico il Nuovo Centro è rimasto sulla cartografia del PRG una macchia bianca e informe, per il resto sogni e promesse. Al posto di quella macchia informe appare oggi un’immagine: quella di una montagna di cemento senza fantasia (il solito ipermercato che continuerà a desertificare il centro cittadino già ridotto a periferia centrale, e i soliti appartamenti inaccessibili alle famiglie in cerca di prima casa, ma buoni per investimenti.
Un NON LUOGO in più per questo panorama urbano indifferenziato, buono per una qualsiasi delle città invivibili che crescono in Europa, costruendo panorami estranei sopra le vecchie città, che conservavano, anche dopo il caos postindustriale, una leggibile fisionomia, e spazi pubblici di incontro, mediazione, confronto. Manca ormai perfino il ricordo di un disegno urbanistico unitario, studiato su misura dei problemi da risolvere, esaltando la forma e le relazioni cresciuta insieme con l’organismo urbano.
Da troppo tempo lamentiamo inascoltati, l’assenza di urbanistica, dal momento che si è scelto di affidare la pianificazione alle STU (Società per Azioni), o ai palazzinari con ricchi premi per la rendita fondiaria, a prezzi elevatissimi per i cittadini.
Sparisce l’intervento pubblico a favore dell’interesse privato, spariscono servizi e spazi pubblici (spazi della e di cittadinanza): la comunicazione è virtuale e le relazioni sociali si esercitano tra le merci, e non bastano laghetti con una decina di cigni per riscattare una operazione smaccatamente e “legalmente” speculativa.
Tuttavia qualcosa si può fare, prima di rassegnarci alla consunzione del centro e dei borghi.
Paghiamo a Fremura i suoi soldi, e teniamoci il Luna Park, come farebbe un buon padre di famiglia che si è indebitato (evitando di spazzare via i balocchi dei bimbi), accendendo un mutuo e chiedendo il sostegno al governo (prassi già fatta negli anni 90 con le quote in finanziaria che consentivano ai comuni di far fronte ai contenzioni degli espropri), visto che i terreni espropriati sono serviti per costruire strutture statali: Vigili del Fuoco, Polizia Stradale e una piccola RSA ancora inattiva.
Vogliamo degli amministratori non dei “liquidatori” nelle nostre giunte cittadine.
Il Piano Strutturale prevede 34.280 mq di Slp residenziale e di mq 68.560 di terziario e ben 835.000 mq di verde e aree a servizi, mentre nel progetto presentato queste scelte variano sensibilmente (raddoppia la Slp che arriva a mq 192.844): molto meglio mantenere le attuali previsioni, abbiamo molto più bisogno di parchi e luoghi di svago che in altro cemento.

Daria Faggi
Paolo Gangemi

Luogo Pio: un’operazione urbanistica pesante senza pubblica utilità.

La distanza tra società e politica s’iscrive tutta nell’incapacità di mantenere le promesse, nella arrendevolezza nei confronti dei poteri forti, che si traduce in subalternità rispetto al soggetto attuatore delle trasformazioni urbane, nell’ascolto negato alla popolazione e alle fasce deboli. Inutile garantire, come è solito fare di recente il Sindaco di Livorno, che si volterà pagina sull’urbanistica, inaugurando un nuovo regolamento trasparente e partecipato, se poi nei progetti di riqualificazione in corso, così rilevanti da mutare il disegno e la percezione del quartiere seicentesco della città, non si presta orecchio alle diverse proposte emerse nel confronto con la popolazione.
Il voto di maggioranza sulle modifiche del piano urbanistico per le varianti di Viale Caprera e Luogo Pio ha di fatto escluso dal confronto, nella commissione comunale, le opposizioni, a causa della documentazione parziale e carente, fornita all’ultimo momento, che non ha consentito di esprimere un parere di merito.
Tra l’altro oltre a non avere a disposizione il progetto di massima, che sicuramente esiste, non è possibile quantificare gli standard di servizio nella zona, su cui insistono pesanti aumenti di carico urbanistico.
Chi sostiene l’intervento parla di un ritorno alla forma antica del quartiere; è un’operazione pretestuosa ed illusoria, e a testimoniarlo vi è il nuovo ponte di Santa Trinità in cemento armato che nasconde alla vista la Fortezza Vecchia.
Nell’area attuale di Via Caprera, un’operazione di sventramento del 1908, ha diradato il tessuto fittissimo e insalubre delle abitazioni, che si addossavano alla Chiesa di San Ferdinando e di Santa Anna; non c’è ragione oggi di saturare ogni spazio libero pubblico con costruzioni di case private.
Questa scelta che non risponde in alcun modo al bisogno di case a prezzi equi, renderà del tutto invivibile il quartiere, dove già il traffico è eccessivo e i parcheggi inesistenti.
Tra la fine degli anni ‘90 fino ad oggi sono state registrate centinaia di nuove abitazioni in Venezia, a seguito di cambi di destinazione d’uso e di frazionamenti della propria immobiliare.
Inoltre si continua a procedere a compartimenti stagni: un'operazione così rilevante deve avere un respiro più ampio, interessando anche il complesso della Fortezza Vecchia e i piazzali comunali della stazione marittima.
Appare ormai indifferibile la sistemazione del percorso ad ostacoli tra il quartiere e il Forte del San Gallo, percorso oggi costretto tra vecchie rovine storiche, asfalto e reti da pollaio.
Infine continua l’emorragia d’aree pubbliche di valore: si regalano pezzi di città di pregio, e si acquisiscono scarti d’aree private, scarabocchiando a caso l’accrescimento della città.
Occorre utilizzare le circoscrizioni per processi reali di partecipazioni organizzando forum pubblici a salvaguardia del territorio, Bene Comune di tutti i cittadini residenti.

Daria Faggi
Sergio Nieri

Livorno 30 maggio 2007

Terme del Corallo:considerazioni dell'Osservatorio

L'identità storico/culturale della città è connotata dalle emergenze artistico/architettoniche:il complesso delle "terme della salute" è al riguardo significativo.L'apposizione del vincolo della Soprintendenza risale al 1969! Nel caso specifico,la prevista costruzione dei sei nuovi fabbricati alti circa 20 metri annullerebbe la visibilità del complesso immobiliare oggetto di tutela.L"'intervento edilizio proposto dalla Fondiaria Apparizioni costituisce elemento di disturbo tipologico nell'armonica ed equilibrata conformazione del complesso monumentale ",dichiara il Soprintendente di Pisa del Ministero dei Beni Culturali in una "nota "cautelativa" allegata al progetto.Ciononostante riteniamo che il problema sia all'origine;si veda la fatidica scheda di Regolamento Urbanistico che prospetta la riqualificazione dello Stabilimento Termale associandola alla previsione di un nuovo insed iamento residenziale,quale fonte di finanziamento del risanamento e di nuova urbanizzazione dell'area.Ma,ad una prima lettura degli atti,tuto lascia pensare che sarà la nuova residenza ad affossare l'auspicato recupero delle Terme.L'ipotesi di recupero delle Terme non puo' prescindere dalla liberazione delle aree circostanti,oggi occupate dai vari manufatti in stato di abbandono.Le aree costruite circostanti sono da rendersi libere ad uso di parcheggio e servizi turistico/ricettivi;funzioni quueste indispensabili alla valorizzazione del complesso monumentale.Il Comune permuti la prevista volumetria residenziale,eccedente la destinazione turistico/ricettiva,con proprie aree poste nel Nuovo Centro.Peraltro,la prevista aliquota di di alloggi a canone sociale(che avrebbe quanto meno soddisfatto l'interesse pubblico)pare scomparsa dalla previsione contenuta nel Piano Attuativo.La scheda attuale di R.U. prevede edifici alti tre piani con altezza massima di nove metri:la var iante prevede edifici da tre a sei piani con altezza massima di circa venti metri.Eccessiva è l'incombenza sul complesso monumentale.Ultime considerazioni;dalla compartecipazione del privato attuatore sono escluse le spese connesse alla demolizione del cavalcaferrovia.Dopo il trasferimento dei 18 miliardi previsti dal budget dei Patti Territoriali per il sottopasso di Piazza Dante su Piazza Mazzini e dintorni,quali altri soggetti se ne dovranno fare carico?L'obolo dei 330.000 Euro proposto dalla Fondiaria Apparizioni ad una prima valutazione appare appena sufficiente per garantire la messa in sicurezza dell'area.Non per altro.La delibera di adozione della variante al R.U.,ai sensi dell'art.79 della Legge Regionale 1/2005,prevede altresi' la procedura della D.I.A.(DICHIARAZIONE DI INZIO ATTIVITA')per la realizzazione dei sei nuovi fabbricati previsti dal piano attuativo;è una innovazione assoluta per il Comune di Livorno!Costruire ben 100 nuovi ap partamenti con una Dia!Si apre la strada allo snellimento delle procedure edilizie?
per Osservatorio Traformazioni Urbane Area Livornese
Sergio Nieri,Antonio Breschi,Fosco Cavallini,Daria Faggi,Ignazio Monterisi.

Livorno,li' 12.03.2007

OSSERVATORIO TERRITORIALE TOSCANO

Bisognerebbe indagare sul serio sulle cause che nel nostro paese hanno trasformato quartieri aperti e solidali, in ghetti urbani, e le persone in carcerate, agli arresti domiciliari, col solo potere del telecomando.
Forse qualche responsabilità è anche di quell’urbanistica contrattata e mercantile, che è stata praticata da giunte di destra e di sinistra, producendo una crescita incontrollata della speculazione edilizia, fuori da ogni contesto di pubblica utilità, riducendo ulteriormente gli standard dei servizi.
E’ certo non è solo colpa degli architetti l’attuale disastro urbanistico: si può rimproverare loro di non aver fatto sufficiente resistenza di fronte allo smantellamento di ogni velleità di pianificazione, per ridisegnare l’organismo urbano secondo logiche di bellezza – armonia – e utilità collettiva, ma la pressione dei capitali e degli interessi finanziari è stata davvero violentissima, (con l’aria che tira il mattone è il volano dell’economia).
Inoltre si è rivelata del tutto assente la consapevolezza dei massa, quasi nulla l’opposizione della sinistra, nei consigli e nelle giunte.
E le stesse mutazioni di strati popolari di sinistra verso derive razziste di tipo legaiolo identitario, è legata alle grandi trasformazione della globalizzazione e alle grandi migrazioni prodotte dalle guerre “imperiale”, anche se ha molto a che fare con la povertà di spazi e tempo di vita sociale, con il degrado di ampie aree desertificate nelle città, diventate vetrine di ogni merce in vendita ed esse stesse oggetto di vendita.
Spazio e tempo trasformano profondamente le relazioni e i comportamenti umani e viceversa le relazioni sempre più mercificate trasformano il senso del tempo e la forma dello spazio.
E una spirale che si autoalimenta, producendo disastri.
Da queste considerazioni è nato a Livorno l’osservatorio territoriale con l’immediata evidente necessità di costruirne almeno uno toscano.

OSSERVATORIO TERRITORIALE TOSCANO
E’ POSSIBILE COSTRUIRLO ?

· Partiamo dall’esperienza esistente: osservatorio sul territorio livornese composto da tecnici, molti architetti e pianificatori, comitati di strada e di piazza e cittadinanza attiva;
Attività: conferenze stampa per illustrare le documentazioni raccolte e i dossier su interventi urbanistici speculativi, (per sensibilizzare l’opinione pubblica) e seminari di studio, istituzione di un tavolo politico con le forze disponibili ad affrontare e combattere la speculazione edilizia; in particolare sono stati redatti dai tecnici dossier di informazione critica sulla scelte più contestate: Porta a Mare, piattaforma a mare dell’impianto di gas off- shore, promozione di ricorsi legali contro scelte urbanistiche del Comune, promozione di referendum consultivi…..

Occorre un censimento di eventuali altre esperienze presenti sul territorio toscano, gli obiettivi politici alla base della costruzione di un organismo regionale toscano potrebbero essere:

contrastare efficacemente il crescente uso mercantile del territorio urbanizzato e non, che sta trasformando le città da luogo naturale di vita, gioco, lavoro, studio in un enorme Centro Commerciale congestionando le periferie delle città e desertificando i centri urbani;
ostacolare la crescente privatizzazione di beni comuni e servizi essenziali;
rilanciare interventi socialmente e ambientalmente utili quali: incentivo dell’uso dell’energia alternativa (solare), raccolta e canalizzazione delle acque piovane, trasformazione delle scuole e degli edifici in dismissione in spazi sociali da recuperare ad uso sociale e culturale, demolizioni mirate con creazione di spazi verdi;
recupero degli spazi interni (cortili, chiostre etc.) per uso sociale e a servizio;
raccolta differenziata dei rifiuti urbani con costruzione di filiere di riciclaggio;
interventi a dimensione di isolato per prevenzione antisismica;
creare esperimenti di urbanistica partecipata; veri e propri laboratori urbani
riconversione a usi civili (concorso idee nelle Università di architettura) di Camp Darby;

La discussione è appena cominciata, e naturalmente è aperta al confronto del movimento e della sinistra critica.

Livorno 25 novembre 2006

Piazza del Luogo Pio: bisogna porre un freno alla cementificazione.

Ogni volta che si progetta una nuova trasformazione urbana bisognerebbe pensare a due ordini di problemi: l’’utilità sociale dell’operazione e la migliore organizzazione del quartiere, attraverso il nuovo disegno urbanistico.
Ora è indubbio che in Venezia poche trasformazioni sono state fatte per pubblica utilità, fatta eccezione per l’esproprio del comparto di Via Strozzi trasformato in alloggi a canone sociale e spazi pubblici (il centro donna) e la ristrutturazione del comparto via del porticciolo – scali finocchietti dove ha sede la circoscrizione, anch’esso affittato a canone sociale e assegnato alle graduatorie ERP, per il resto tutti gli interventi sono stati di segno opposto, aree e edifici pubblici sono stati affidati ai privati: comparto degli Uffici dei Grani, Via della Madonna angolo Via Borra, l'edificio ex militare di Piazza dei Domenicani trasformato in monolocali, proprietà di partiti politici di sinistra trasformate in uffici e proprietà del clero vendute a peso d’oro per realizzare nuovi appartamenti in proprietà.
Dello stesso segno è l’operazione del Luogo Pio – Consabit: il terreno è ceduto dal Comune ai privati per costruire appartamenti (spesso seconde case per investimenti di capitali che in banca darebbero meno rendimento).
Questa logica di privatizzazione sembra destinata ad interessare anche l’edificio del Palazzo Del Borro in Scali Rosciano, che il Comune ha ricevuto in beneficenza per i poveri, una sorte simile a quella del palazzo sul Viale Carducci 27 ceduto ai privati sempre per nuovi alloggi.
Insomma si lavora ai nuovi piani PEEP ma intanto, ben lungi dall’acquisire edifici privati a scopo sociale (anche in proprietà miste) si cede quel poco che resta dei beni comuni.
Furono invece motivati dalla necessità di avere un quartiere più salubre gli interventi di fine 800; il ramo del fosso davanti al Luogo Pio fu interrato e sul suo terrapieno fu realizzato il viale Caprera: è scomparsa la Piazzetta dei Grani, gli Scali dello Spiaggione e delle Saponiere, quelli del Luogo Pio, ed è sparita Via di Mezzo.
Dopo gli interventi di sventramento per ragioni igieniche sanitarie, la guerra ha lasciato ferite aperte e tuttora visibili nel largo spazio detto oggi Piazza del Luogo Pio.
La piazza è diventata un parcheggio e si configura come un uno spazio indifferenziato e anonimo, del tutto privo di qualità urbana.
Conveniamo dunque sulla necessità di una riqualificazione urbana, ma non condividiamo la riduzione dell’ampio slargo tra le due chiese, (tra le più belle di Livorno insieme a quella dei Domenicani) ad una corte interna, chiamata impropriamente nuova Piazza del Luogo Pio, racchiusa tra una cortina d’edifici nuovi a riprova che a Livorno ogni vuoto è cementificato senza pietà, come se lo spazio libero fosse di per se una qualità negativa, anziché una risorsa per la collettività.
Quanto alla scelta di “riprodurre” il contesto originale bisognerebbe ragionare sul fatto che la storia di una città e del suo centro storico è dinamica mai statica; è fatta di trasformazioni, elevazioni, demolizioni etc. e spesso tale scelta produce falsi storici di dubbio gusto, oltre che molto costosi
Inoltre le nuove costruzioni di Luogo Pio si iscrivono nella più vasta opera di cementificazione di ogni spazio residuale: una vera predazione di ogni lotto costruibile; in aggiunta alla trasformazione di vecchi edifici (vedi Paradisino) in case d’abitazioni, la divisione dei grandi appartamenti settecenteschi in monolocali, aggravando intollerabilmente i problemi dei parcheggi, del traffico e dell’inquinamento in VENEZIA che peggiorano la qualità della vita nel quartiere settecentesco.
Dal momento che lo standard è bassissimo (5 mq ad abitante di verde e spazi pubblici) bisognerebbe approfittare delle demolizioni per aumentare tale indice.
Meglio dunque dal punto di vista architettonico tornare al progetto originale, che consente la progettazione di uno spazio simbolico verde ed alberato per ricordare la distruzione e il disastro di ogni guerra.
Quanto al fatto che le nuove costruzioni, edificate sul terreno di proprietà comunale, possono servire a lenire il problema dei senza alloggi o degli sfrattati, ci rifiutiamo di fare commenti, ai prezzi di cessione praticati dalla Coop (appena più calmierati rispetto ai privati) nessuna famiglia anziana o precaria o monoreddito potrà accedere alla proprietà dei monolocali.
Come male minore crediamo che vada respinta la variante al vecchio progetto, magari chiedendo alla Coop di concedere una quota (non umiliante) di alloggi, a canone accessibile, come già sperimentato a Siena dove i nuovi alloggi costruiti dalla Fondazione del Monte dei Paschi e dal Comune sono affittati a 4 euro al metro quadro al mese.
Questo si potrebbe essere un risultato positivo, di pubblica utilità.

Osservatorio livornese sulle trasformazioni urbane.
Livorno 12 marzo 2006

Alleghiamo progetti a confronto.

La vicenda del Palazzo Refugio

Il fondo sugli scali del Refugio, da qualche anno vuoto, dopo essere stato per qualche tempo parcheggio abusivo di motorini, è stato occupato da giovani studenti e precari; alla ricerca, sempre più difficile, di spazi sociali agibili anche per chi ha in tasca pochi soldi.
Livorno dagli anni 80 si trova ad essere costantemente in cima alle classifiche riguardanti il disagio giovanile: l’età in cui gli adolescenti si avvicinano alle droghe si è abbassata notevolmente.
La scuola pubblica penalizzata dalle controriforme, che ne hanno ridotto il ruolo educativo e sociale, è sempre meno luogo di aggregazione, e presidio contro la devianza precoce.
Questa città (questo paese) sta perdendo la nozione stessa di libera fruizione degli spazi pubblici e dei beni comuni di proprietà collettiva: oggi paghi per frequentare sia le palestre private, che le piscine, che i campi sportivi di proprietà comunale.
Il territorio è stato messo a rendita, spariscono perfino le spiagge libere (si salva per ora la scogliera del Romito e il porticciolo liberato del Sonnino). Paghi per fare cultura. Cinema e teatri tradizionali chiudono in un centro città, che a stento mantiene accese le luci delle vetrine del sistema commerciale storico, sempre più mortificato e in difficoltà,.
Venezia regge anche grazie a quei locali pub e circoli, che un po’inquietano i residenti, perché non è facile trovare la misura giusta tra le esigenze alla quiete e la voglia di svago e divertimento ( e la contesa dei parcheggi quasi inesistenti accendono gli animi e i rancori) tuttavia i riflettori restano per fortuna accesi sul centro storico. Il prezzo più pesante è la lievitazione degli appetiti e degli interessi che rubano metro dopo metro tutte le aree e gli edifici pubblici, in attesa del suo porto turistico che non ci sarà. I borghi ottocenteschi, senza progetto di recupero urbano, stanno trasformandosi in periferie centrali, cariche di nuove tensioni e nuovi problemi. La casa della cultura che dovrebbe essere chiamata al plurale “casa delle culture” è emblematicamente serrata da parecchi anni.
Il palazzo “del Borro” potrebbe diventare un laboratorio per un nuovo pensiero di trasformazione socialmente utile: ci sono le famiglie, che non sanno se e quanto e a che titolo potranno rimanere, e il fondo occupato potrebbe essere la scintilla di un progetto ambizioso.
Ci vogliono molti soldi per recuperare l’edificio, che è prestigioso quanto fatiscente; tuttavia attraverso una inedita collaborazione di proprietà mista pubblica e privata senza fini di lucro di nuove sperimentazioni di autocostruzione, si potrebbe provare a imboccare altre strade di trasformazione non speculative.
Si potrebbero iniziare presentando alla Regione, che ha stanziato i fondi, il progetti di recupero partecipando al bando che si sta predisponendo: visto che il lascito della fondazione al comune ha avuto come motivazione la beneficenza, non si può mettere a rendita un dono per la collettività come è avvenuto per tanti appartamenti e per il palazzo di Viale Carducci 27 venduto per ripianare i bilanci dell’amministrazione pubblica o della Spil.


Daria Faggi
Osservatorio territoriale di urbanistica - Livorno

Livorno 4 giugno 2006

martedì 27 ottobre 2009

UN MANIFESTO PER LA CITTA' NUOVA


L’organizzazione della città e la sua gestione per un’altra società da vivere.
L’esperienza dell’osservatorio sulle trasformazione urbane è giunta ad una fase di riflessione: occorre pensare ad un aggiornamento in corso d’opera che garantisca una migliore e più larga partecipazione.
L’osservatorio non vuole essere una riedizione d’Urbanistica Democratica, anche se ne condivide
ideali e finalità: infatti non limita le adesioni ai soli tecnici e professionisti dell’urbanistica, ma intende aprirsi al confronto con i cittadini impegnati sulla questione dell’uso del territorio e ai critici del consumo irresponsabile della città.
Partiamo da alcuni presupposti condivisi; esistono nei servizi delle regole d’efficienza e non di mercato: deve essere chiaro che in un servizio pubblico il fine non può essere quello del massimo profitto aziendale, ma quello del massimo rendimento sociale a parità di risorse.
Invece sempre più, sono proposte logiche di gestione privatistiche di beni che hanno intrinsecamente conseguenze dirette sulla qualità della vita delle persone.
Oggi le grandi trasformazioni strategiche si fanno con i programmi integrati d’intervento
senza subordinazione ad un piano generale di pubblico interesse, cioè si intende erroneamente il
PRG come sommatoria d’accordi e contrattazioni singole, fatte con i privati: gli effetti di questa
filosofia sono devastanti.
Questo determina un uso improprio di risorse limitate ed indispensabili per il bene comune quali: il territorio, l’energia e l’acqua, è del tutto evidente la stretta correlazione tra deregolamentazione urbanistica e dispersione insediativi.
La possibilità di monetizzare gli oneri d’urbanizzazione hanno fatto del consumo di suolo la risorsa principale di molti comuni.
Stiamo assistendo al saccheggio delle parti più pregiate del territorio da parte di speculatori, ad
L’organizzazione della città e la sua gestione per un’altra società da vivere.
investimenti su energia inquinante, costosa e non rinnovabile, al tentativo di privatizzare un bene primario come l’acqua, ad uno sviluppo che non è progresso.
Così come l’agricoltura (come tutte le attività connesse al sostentamento umano) deve legarsi
alla sicurezza alimentare, alla conservazione e protezione ambientale nel rispetto della biodiversità, altrettanto è necessario che il dominio del mercato sia eliminato da tutto ciò che concerne i diritti universali dell’uomo e i diritti alla sicurezza sociale.
Disponiamo di raffinati saperi sull’ecologia che stentano ad incrociarsi con i saperi non meno
complessi relativi alla costruzione della città: questa sintesi è oggi necessaria.
Ci proponiamo scrivendo una griglia di questioni, di comporre un MANIFESTO PER LA CITTA’ NUOVA, insieme a quanti, condividendo i principi ispiratori di questo documento, intendono partecipare sia per progettare soluzioni dei problemi o per aggiungere elementi d’informazione parziali e generali, o anche solo per esprimere la propria valutazione.
Vorremmo proporle agli amministratori capaci di dubitare delle bontà delle ricette adottate fin qui per governare la città.
L’ambizione è scrivere insieme un manuale d’intenzioni e di buone pratiche adottando le regole
della democrazia, che raramente parla all’unisono e a volte ha voci dissonanti, ma accetta comunque sempre di sottoporre a verifica la propria ipotesi.
La base dell’URBANISTICA PARTECIPATA è la consapevolezza che la partecipazione ha bisogno di regole, luoghi, tempi e metodo per una reale consultazione permanente.
Per stabilire quali dovranno essere regole, luoghi e tempi per confrontare le prospettive di una città che oltre ai centri commerciali di consumo e ad insediamenti residenziali invasivi (che riducono le quote individuali di servizi pubblici) abbia centri civici dove fare cultura, incontrarsi per divertirsi, per leggere, informarsi e fare informazione, e per fare progetti comunitari capaci di costruire una società sana libera, sicura (superando tutte le situazioni di precarietà), e ospitale per tutti e tutte.
Il territorio dove viviamo è un bene comune limitato e prezioso, e lo vogliamo riconosciuto come spazio pubblico della politica, per una trasformazione sostenibile e partecipata.
Sul territorio l’osservatorio deve saper gestire vertenze territoriali, partecipare a laboratori di
cittadinanza attiva e dialogare con i sindacati e i movimenti di base, con i partiti e le istituzioni.
Infine la partecipazione all’OSSERVATORIO è aperta a tutti e tutte, rigorosamente a titolo personale, indipendentemente dall’attività e dal ruolo politico o sociale di ciascuna/o senza discriminazioni o privilegi.
L’osservatorio intende praticare esperienze partecipate diffonderle e scambiarle con altre realtà
d’urbanistica partecipata in Toscana e in Europa.

VERSO L’ADOZIONE DI UN PROGRAMMA DI GESTIONE AMBIENTALE DELLA CITTÀ
Approccio integrato alle politiche urbane e attenzione alle implicazioni che le decisioni in materia urbanistica hanno sull’ambiente, riduzione degli impatti ambientali in modo da avere un’economia sostenibile, una società sana ed equa; nuovo atteggiamento in cui hanno uguale ruolo l’amministrazione pubblica e la partecipazione attiva dei cittadini, in cui la trasparenza nella realizzazione delle decisioni e nella loro descrizione sono gli elementi chiave per una gestione urbana sostenibile; utilizzo di strumenti per la gestione ambientale che consentano la valutazione degli impatti diretti e indiretti sull’ambiente, derivanti dalle decisioni sulla pianificazione e sull’uso del suolo che partano dal presupposto che il territorio è un bene comune
prezioso e esauribile.
CONDIZIONI PER UNA NUOVA PIANIFICAZIONE PARTECIPATA E SOSTENIBILE
Riteniamo che nell’approccio alla pianificazione della città e del territorio debba prevalere una visione non tecnocratica, astratta e procedurale, ma una visione attenta alle differenze qualitative dei luoghi e dei soggetti, a partire da quelli meno tutelati nelle loro più concrete esigenze. Questo significa che la vita quotidiana deve assumere carattere fondante nei processi di pianificazione e che le scelte che riguardano l’organizzazione e la fruizione della città e del territorio debbano essere fatte dalla pluralità dei soggetti attraverso la costruzione di processi di
partecipazione che attivino relazioni tra cittadini e cittadine, portatori e portatrici di istanze, punti di vista e interessi diversi; perché piani e progetti siano sempre meno solo disegno di esperti e sempre più appartengano ai soggetti che nel territorio e nella città vivono il loro tempo.
riconoscere come presupposto essenziale di piani e progetti la complessità significa interpretare
luoghi, contesti e bisogni attraverso processi articolati che assumono la ricchezza della “differenza”, sia culturale, sociale e antropologica.
Esistono alternative agli attuali progetti di espansione urbanistica che vorrebbero sottrarre alla popolazione toscana alcuni dei suoi beni più preziosi, ovvero il territorio e il suo modo di viverlo e gestirlo; la popolazione non è più disponibile a sopportare questa mercificazione estrema che alimenta la rendita immobiliare, cementifica il territorio, riduce il patrimonio pubblico e i beni comuni, rendendo indisponibili aree territoriali socialmente utili; esistono le condizioni per sviluppare modelli economici alternativi ed insediamenti ecologici originali e nuovi, nella prospettiva di costruzione di aree territoriali, integrate socialmente, ambientalmente. I Comuni dovranno regolamentare questo nuovo processo, introducendo regole e incentivi coerenti negli strumenti di governo del territorio; dobbiamo progettare città sane, costruite e trasformate nel rispetto dell’ecologia, secondo i principi del risparmio energetico e delle risorse, dell’utilizzo delle energie rinnovabili e della riduzione del traffico privato e dell’inquinamento atmosferico; dobbiamo progettare città sociali, con servizi moderni ed includenti, centri civici e sociali multiculturali, e edilizia sociale diffusa, per dare diritti di cittadinanza per tutti; occorre separare la proprietà dei suoli dal diritto di edificare per facilitare le pratiche di esproprio per pubblica utilità e consentire la realizzazione di relazioni quantitative e qualitative soddisfacenti tra, rete della mobilità, attrezzature di servizio pubblico e edifici e insediamenti privati.
Vi è un rapporto stretto e inscindibile tra la necessità di controllo di consumo di suolo nuovo, limitando i processi di espansione e il controllo di un eccessivo addensamento dell’edificato esistente, nei processi di trasformazione: cìoè un rapporto di sostenibilità nella città costruita tra edificazione e spazi non edificati.
Le attivazione dei privati deve sempre e comunque essere subordinata a un progetto generale espressione dell’interesse pubblico senza alcuna delega.
Prevedere la partecipazione ai processi di pianificazione: stabilendo i rapporti con gli enti e i responsabili della programmazione e i luoghi e tempi del decentramento per un’informazione e
una discussione efficace (si potrebbero assumere come base di rilevazione dei bisogni le istanze
espresse in specifiche sessioni partecipative quali in Forum circoscrizionali); stabilire i criteri di accesso rapido a qualsiasi atto amministrativo relativo alle trasformazioni urbanistiche.
Essenziale è la partecipazione ai processi di verifica di ogni trasformazione in sede di progettazione, ma anche in corso d’opera e al termine attraverso una verifica di impatto ambientale e territoriale (VIAT) che tenga conto dei seguenti: deve essere resa impraticabile la zonizzazione sociale, puntando sulla complessità di modi d’uso funzionali e culturali.
FATTORI DI MIGLIORAMENTO E DEI COSTI PER LA COLLETTIVITÀ
Aumento e comunque non riduzione delle risorse collettive e dei beni comuni; miglioramento autosufficienza energetica (energia rinnovabile); miglioramento del traffico e diminuzione dell’uso dell’auto a favore di una mobilità sostenibile; riduzione spreco di acqua meteorica e di falda freatica; aumento benefici collettivi in termini di nuovi posti di lavoro stabili (limitatamente agli insediamenti produttivi ed attività culturali, sociali e di servizio) riduzione dello spreco di energia legate agli spostamenti necessari.
FATTORI DI PEGGIORAMENTO (COSTI PER LA COLLETTIVITÀ)
consumo di territorio
consumo energetico
aumento del carico dei rifiuti prodotti
aumento del carico di inquinamento per il traffico
aumento dei rischi per la salute dei cittadini in relazione alla varie forme di inquinamento
aumento della dissipazione dei tempi e dell’energia umana per in città.
La VIAT deve essere vincolante nelle norme di attuazione e deve contenere una forte valenza partecipativa; deve inoltre stabilire precise sanzioni in caso di inadempienza delle regole convenzionate e l’indennizzo alla collettività.
ADOZIONE DI UN PIANO DEI TRASPORTI URBANO SOSTENIBILE
Il piano sostenibile dei trasporti dovrà coprire l’intera area urbana, mirare a ridurre gli impatti negativi dei trasporti e l’aumento di volume di traffico e congestione, essere collegato ai piani ed alle strategie regionali e nazionali. Dovrà coprire tutte le modalità di trasporto, e favorire una ripartizione modale verso il trasporto pubblico, in bici e a piedi.
La pianificazione deve porsi il problema di ridurre i tempi e spazi di percorrenza, declinando con
correttezza il concetto di prossimità dei servizi essenziali.
Il piano dovrà essere legato agli altri piani generali sulla città e agli obiettivi per lo sviluppo ambientale, economico e sociale.
RISORSE
C’è un’insufficiente tassazione della rendita a fronte dei costi sociali e ambientali che produce
chi inquina paga, ripristina e bonifica le risorse per operazioni di interesse collettivo (pubblico) devono essere ottenute dalla fiscalità generale (nazionale e decentrata) e di scopo tutta la fiscalità deve essere proporzionale al reddito e alla proprietà di beni, riducendo al minimo il
contributo nel caso di valore d’uso (prima casa in proprietà) tali riduzioni devono essere finanziate dalla tassazione in crescita progressiva in base al valore (e al numero) delle proprietà immobiliari e fondiarie, al tasso di consumo delle risorse pubbliche collettive (beni comuni).
DEMOCRAZIA E PARTECIPAZIONE NEI PROCESSI DI PIANIFICAZIONE DELLA CITTA’,
RICONOSCIUTA COME BENE COMUNE.
La democrazia è un sistema politico complesso e vulnerabile è indispensabile connettere
rappresentanza e partecipazione diretta tra società e istituzione.
Sono state avviate alcune esperienze interessanti di democrazia partecipata in Europa e nelle americhe di collegamento della sfera politica alla società nelle decisioni normalmente riservate alle sole istituzioni.
Non è facile strutturare la partecipazione dei cittadini visto che la disaffezione alla politica è reale e crescente ma si può con l’esperienza diretta puntare a diffondere una cultura della democrazia, e soprattutto creare l’abitudine ad affrontare collettivamente tematiche di interesse comune.
Per le scelte più rilevanti si dovrebbe ricorrere a consultazioni generali delle popolazioni
(referendum).
La tecnologia può favorire questi processi, come i dibattiti alle televisioni locali, debitamente
pubblicizzati si potrebbero mettere a confronto le diverse tesi e fornire informazione necessaria per operare delle scelte, la democrazia partecipativa deve essere strutturata ha bisogno di regole ben definite, e tuttavia non rigide, capaci di evolvere attraverso le verifiche che la sperimentazione suggerisce.
RAPPORTO PARTECIPATIVO CON L’AMMMINISTRAZIONE
Occorre concertare una convenzione per:
definire i rispettivi ruoli avere accesso alla documentazione;
individuare i referenti nelle amministrazioni;
poter intervenire prima che i progetti siano redatti,
durante la redazione e nell’esecuzione con pareri occorre avere accesso a locali e all’archivio relativo ai lavori.
Occorre definire un’autoregolamentazione interna fondata sulla:
indipendenza dalla vita politica dei partiti partecipazione a livello individuale.
Le modalità di lavoro si articolano su due livelli interscambiabili: lineamenti generali: definendo categorie prioritarie che permettono di dettagliare correttamente le scelte successive su tematiche singole.
Il quadro generale, deve essere sintetico, facilmente comprensibile, non rigido e continuamente
emendabile. Sviluppi di dettaglio delle tematiche generali che fanno riferimento e si riconnettono con l’ipotesi di massima e contribuiscono a definirle.
Nel corso del confronto di democrazia partecipata è auspicabile: privilegiare l’impostazione culturale alla mera “gestione tecnica” dei problemi accostare per quanto possibile nei gruppi di lavoro persone con esperienze di studio e di lavoro diverse che i gruppi di lavoro siano includenti ed aperti alla partecipazione di chiunque che i rapporti con l’esterno siano stabiliti collegialmente, indicando ogni volta i portavoce che posizioni differenti su singole problematiche siano messe a confronto, senza elidersi.
Primi firmatari:
Daniela Bertelli, Antonio Breschi, Paolo Bruciati,
Davide Burchi, Fosco Cavallini, Guido Cei, Giovanni
Ceraolo, Daria Faggi, Paolo Gangemi, Vito Lo Piccolo,
Ignazio Monterisi, Sergio Nieri, Mauro Parigi,
Salvatore Picardi, Graziella Pierfederici, Marco Sisi.
Livorno maggio 2007
Livorno,Maggio 2007 - Stampato in proprio
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urbanisticapartecipata.li@gmail.com